di Stefano Ambu
I trenta operatori specializzati svolgono le stesse procedure del pre Covid ma le pratiche sono state interamente digitalizzate con un aumento della richiestaI settori più in difficoltà sono il turismo e il commercio: persi un quarto degli occupatidi Davide PinnaFino all’anno scorso gli uffici e gli androni del centro per l’impiego di Oristano erano pieni di una folla rumorosa: un centinaio di utenti al giorno, racconta il coordinatore Stefano Floris (nella foto). Ora, quasi tutta l’attività si svolge in formato digitale e l’innovazione inizia a dare i suoi frutti. Certo, la riapertura degli uffici al pubblico è un traguardo a cui si spera di arrivare in fretta, anche perché la sede del Cpi oristanese è una sorta di hub per un certo tipo di utenti: «L’edificio in cui ci troviamo – spiega Floris – ospita anche il centro permanente per l’istruzione degli adulti. Le utenze spesso coincidono, così abbiamo creato un protocollo di collaborazione». Al momento, i trenta operatori specializzati svolgono le stesse procedure di prima, ma le pratiche sono state interamente digitalizzate. «All’inizio c’è stata qualche difficoltà, ma col tempo quasi tutti gli utenti si sono abituati al nuovo sistema. E funziona, perché il numero di pratiche che noi riusciamo a svolgere ogni giorno è aumentato parecchio». Le porte, in ogni caso, non sono sbarrate. In caso di necessità, quando l’utente magari non ha lo smartphone o non può utilizzare il computer, gli incontri in presenza si svolgono ancora. Non ci sono solo i lavoratori, fra i target del centro per l’impiego. «In Sardegna c’è una figura unica, che non ha eguali a livello nazionale. Si tratta del Job account, noi ne abbiamo due. Il loro lavoro consiste nel fornire consulenza e assistenza diretta alle imprese nella ricerca di figure professionali. Questo ci consente di limitare il problema del mismatching, della difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro, indicando alle aziende persone adeguate alle loro esigenze». Dopo che il primo trimestre del 2020 aveva lanciato dei segnali positivi, con un lieve incremento degli occupati, la pandemia ha fatto il suo gioco, con l’incremento del numero di persone che hanno rinunciato a cercare lavoro pari al 15 % e la diminuzione degli occupati, limitata dal blocco dei licenziamenti in vigore sino a marzo 2021. A subire di più la crisi, nell’Oristanese, i settori legati a turismo e commercio che erano invece, sino al 2019, quelli che funzionavano meglio.
«Gli occupati sono diminuiti del 25 % nel turismo e del 26 % nel commercio». Fra i settori che reggono meglio, quello dei servizi assistenziali e domestici e del credito. Se, a livello di genere, nell’Oristanese non si notano differenze sostanziali, crollano le assunzioni delle classi di età più giovani, tra i 44 e i 24 anni con percentuali che vanno dal 20 a l7 %.«La pandemia è stata per noi l’occasione di innovare la nostra offerta tramite la digitalizzazione – spiega Stefano Floris -, ma ovviamente il criterio determinante per la ripresa del lavoro è la situazione economica generale. Per questo, serve al più presto un miglioramento del quadro sanitario: è questa la condizione essenziale perché l’economia possa ripartire». di Stefano AmbuUna volta era il regno del lavoro. Di quello in miniera prima. E di quello dell’industria poi. Ora, sempre in fiduciosa attesa della ripresa di Eurallumina e dell’ex Alcoa, è il regno della disoccupazione. Non che il lavoro, nelle altre parti della Sardegna, si trovi schioccando la dita. Ma nel Sulcis- lo dicono le statistiche- è ancora più difficile. E allora il Centro per l’impiego Aspal diventa come un’oasi in mezzo al deserto. Non è un centro di collocamento. Ma è una speranza di salvezza. E di futuro. Sedici comuni (Calasetta, Carbonia, Carloforte, Giba, Masainas, Narcao, Nuxis, Perdaxius, Piscinas, Portoscuso, San Giovanni Suergiu, Santadi, Sant’Anna Arresi, Sant’Antioco, Tratalias, Villaperuccio), circa trentaduemila persone da seguire, incoraggiare, accompagnare verso la possibilità di un lavoro. E i risultati ci sono. «La nostra funzione- spiega il responsabile Graziano Longu (foto)- non è quella di trovare lavoro. Ma quando, anche in seguito al percorso attivato al centro per l’impiego, le persone che si sono rivolte a noi trovano occupazione, è sempre una bella soddisfazione. E fa piacere quando vengono a ringraziarci». Qui i navigator del reddito di cittadinanza funzionano. «Eccome- conferma Longu- nella nostra zona di competenza ci sono circa duemila beneficiari della misura. E stiamo ottenendo dei buoni risultati nel perseguimento di quello che è uno degli obiettivi dell’aiuto, trovare opportunità di lavoro». Tutto questo nonostante il Covid.
«Quello che sembrava un disastro per un’attività come la nostra basata sul contatto- spiega il coordinatore- si sta rivelando un’opportunità. Un’accelerazione di un percorso già in atto e che ha trovato la struttura pronta ad attivare e potenziare tutti i sistemi alternativi che non prevedono la presenza. Con una buona risposta, anche collaborativa, da parte degli utenti». Carbonia, la città nata nell’era del carbone. E ora tutti a parlare di conto alla rovescia per la decarbonizzazione. E a chiedersi se anche il mondo nato dalle ceneri delle miniere, l’industria pesante, abbia ancora senso o futuro. «Una delle strade che noi suggeriamo- spiega Longu- è quello dell’autoimpiego. Non è facile, ma può essere una soluzione. Magari in forma organizzata, con cooperative. Il settore? Turismo innanzitutto, anche se è vero che la scorsa estate è stata una stagione molto complicata soprattutto per un comparto che in questo territorio ha ancora ampi margini di crescita». Tanti i giovani della zona che non studiano e non lavorano. «Ma il Sulcis è una zona complessa- racconta il coordinatore- il fenomeno della disoccupazione coinvolge fasce di età sempre più alte». E agli sfiduciati si risponde con i numeri: in un anno e mezzo i tirocini, circa 8000, hanno fatto entrare nel mondo del lavoro, con un contratto, circa il 30 per cento dei partecipanti. «Il nostro ruolo- spiega il responsabile del centro- è anche quello di mantenere “attivi” tutti coloro che per un motivo o per l’altro un lavoro non ce l’hanno».